Giovanni Falcone monologo immaginario
Alla fine di un percorso dedicato alla legalità ognuno di noi, tramite letture e ricerche personali,ha approfondito un personaggio (uomini delle istituzioni o semplici cittadini) che ha fatto qualcosa per fermare la mafia. Poi abbiamo scritto un monologo immaginario di questo personaggio. Ve ne proponiamo alcuni. oggi proponiamo il monologo immaginario di Giovanni Falcone scritto da Gino.
(Prologo) Era il 23 maggio 1992, una bellissima giornata. Il giudice Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo salgono alle 16 e 40 su un volo diretto da Roma a Palermo. Atterrano a Punta Raisi alle 17 e 40, ad aspettarli in una zona riservata dell’aeroporto ci sono gli agenti della scorta con un corteo di 3 Fiat Croma blindate. Partono alle 17 e 50 imboccando l’autostrada A29 con direzione Palermo. Alle 17 e 57 un pezzo dell'autostrada dove stava passando il corteo delle auto blindate esplode. In quel tragico boato morirono il giudice Falcone e sua moglie, insieme a 3 agenti della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. 57 giorni dopo, il 19 luglio 1992, in via d’Amelio, ci fu un altro scoppio, molto forte, era esplosa una Fiat 126 di colore amaranto, con dentro 90 kg di tritolo. Erano le 16 e 58 minuti e 20 secondi: quella Fiat 126 si trovava sotto la casa della mamma del giudice Paolo Borsellino, che perse la vita insieme a 5 agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Giovanni Falcone, Gennaio 2020 – Sono passati quasi 28 anni da quel maggio ‘92, quasi quanto i miei anni passati in magistratura. Ogni tanto da quassù, giusto per spezzare la pace, mi diverto a considerare se e come le cose sono cambiate e a ricordare quegli anni… Quante volte mi chiedevano perché avevo scelto di fare quel lavoro, in cui rischiavo da un momento all'altro di morire, e rispondevo dicendo che mi piaceva lottare contro la mafia. Mi chiedevano se non avessi paura…E certo che ne avevo! Ma come diceva il mio grande amico Paolo “è normale che esista la paura, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio”. Poi mi chiedevano se in una seconda vita lo avrei rifatto, io rispondevo senza pensarci e senza esitare dicendo che lo avrei fatto. "La mafia è un fatto umano, -dicevo- e come tutti i fatti umani ha un inizio, una sua evoluzione e una fine”. E ancora: “Bisogna rendersi conto che la mafia è un fenomeno molto serio e grave, quindi bisogna combatterlo non pretendendo l’eroismo di inermi cittadini, ma coinvolgendo nella lotta le forze migliori delle istituzioni.”
Quante battaglie, quante speranze, quanto ottimismo ci mettevamo io e Paolo! E così, ogni tanto mi “affaccio”, per vedere se alcune di quelle speranze, anche senza me e Paolo, si siano concretizzate. Cosa vedo oggi? A me pare che la mafia non si sia fermata, e forse in pochi pensano fortemente, come facevo io, che è un fenomeno che si può combattere e si può fermare. La mafia si è in alcuni casi trasformata, camuffata, e non c’è più quella sensazione di essere vicini alla meta che animava me e Paolo dopo il maxiprocesso. Dopo la mia morte, lo so, la gente si era come svegliata, vedeva in faccia il nemico con cui fino a poco prima conviveva. Oggi la gente è tornata a conviverci, anche perché la mafia non ha più la faccia un po’ segnata di Riina ma quella rispettabile e apparentemente pulita di gente “perbene”: imprenditori, politici, avvocati, giudici, sindaci. Oggi il linguaggio del mafioso non è più il dialetto stretto dei capi-cosca siciliani ma la lingua ben costruita di gente di cultura. Sono rimasti in pochi ad avere coraggio, il coraggio di scovare la nuova faccia del mostro. Gli altri l’hanno accolta e l'hanno resa vincitrice! Ma il mostro è sempre lì, anche se spesso cambia faccia, e di coraggio ne serve il doppio. E quindi ancora una volta io dico “l'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa”. Per distruggere completamente la mafia bisogna partire dalle scuole, bisogna educare i giovani facendogli capire che vivono con il mostro, che quando loro non se lo aspettano è dietro l'angolo ad aspettarli, che anche se loro non lo vedono lui c'è e non devono temerlo, ma devono combatterlo, perché, come diceva il mio caro amico Paolo, "Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo". Da quassù vedo tutto, vedo anche magistrati e poliziotti che si arrendono senza fare nulla, perché secondo loro non possono. Invece dovrebbero scolpire in ogni loro scranno la frase "Possiamo sempre fare qualcosa"...
Ormai ho l’impressione che questo lavoro da magistrato non ha più il peso che aveva quando lo facevo io, c'è gente che fa questo lavoro solo per prendere lo stipendio. Io quando ogni fine mese mi arrivava lo stipendio mi sedevo un attimo e riflettevo chiedendomi se me lo ero guadagnato. A volte percepisco nei miei colleghi laggiù un comprensibile desiderio di tornare alla normalità: meno scorte, meno protezione, meno rigore negli spostamenti. E allora mi sorprendo ad aver paura delle conseguenze di un simile atteggiamento: normalità significa meno indagini, meno incisività, meno risultati. E temo che la magistratura torni alla vecchia routine: i mafiosi che fanno il loro mestiere da un lato, i magistrati che fanno più o meno bene il loro dall’altro, e alla resa dei conti, l’inefficienza dello Stato. A me è rimasta impressa una frase che disse Paolo in un discorso che aveva preparato per il al mio funerale, “Ci sono tante teste vuote: teste vuote che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello… quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero… ma oggi, signori e signore, davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa vuota di tutti… Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge". Eh sì, io sono stato proprio una gran testa …vuota, aveva ragione: oggi la gente pensa di poter fare tutto con poco, pensa che un giorno la mafia sparirà da sola!
Uno spiraglio di luce in questa nebbia però lo vedo: e guardo alla sua lotta con grande gioia e con grande speranza. Lui sì che fa il mestiere che ho fatto io: ha avuto il coraggio di ordinare l'arresto di 334 persone, con l’aiuto di 3 mila carabinieri: una specie di potenziale maxi-processo bis!! Prego da quassù che non lo lascino solo, perché il suo bisturi sta operando in profondità. E allora, da qui, la disperazione di noi morti per come vanno le cose nella vita, un po’ si attenua, e mi dico che forse è vero ciò che dicevo: "Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini". Le mie idee camminano sulle gambe solide di Nicola, e spero che continuino a camminare sempre più veloce….
(Epilogo) Volevo dirvi una cosa: a me ogni sera piace vedere il sole tramontare e vedere spuntare tantissime stelle per poi contarle (1,2,3,4,10,15,20) ma poi mi rendo conto che è impossibile contarle tutte, sono troppe … poi provo a contare tutte le persone che ho conosciuto (1,2,3,4,5,10,15,20) ma mi rendo anche in questa situazione che le persone sono troppe e aumentano ogni giorno (nascono, crescono, muoiono) … ma perché conto le persone, che c’entrano con le stelle? Perché una persona è una stella, una stella è una persona, ecco perché si dice “ognuno di noi ha la propria stella" … poi provo a dare a ogni stella nome e cognome ma mi rendo conto per l'ennesima volta che è impossibile, perché ci sono troppe persone nel mondo e non tutte le persone sono pulite, e il cielo non bisogna sporcarlo ma bisogna lasciarlo pulito! Però io posso dare nome e cognome a due stelle … Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Commenti
Posta un commento